30 Giugno 2017

Premessa

Questo articolo è il secondo della mia serie sulle perovskiti. Il primo, che dà un'introduzione generale e parla di ellissometria, si può trovare qui.

Come menzionato alla fine dell'ultimo articolo, una volta ottenuti dei risultati attraverso l'ellissometria, era necessario confermarli attraverso altri metodi. Nel nostro caso, usammo delle misurazioni di riflettanza e trasmittanza ed analizzammo i nostri campioni con un microscopio elettronico a scansione (SEM) ed un microscopio a forza atomica (AFM).

Riflettanza e Trasmittanza

Tecniche per la misurazione di riflettanza (sinistra) e trasmittanza (destra).

La riflettanza (R) e la trasmittanza (T) sono una misura dell'intensità di luce che viene riflessa e trasmessa rispettivamente da un campione. Come mostra lo schema qui sopra, sono delle misurazioni abbastanza semplici che, se condotte correttamente, permettono di calcolare lo spessore del campione e, in teoria, la banda proibita.

Se avete letto il mio articolo precedente sull'ellissometria, saprete già cosa sono il modello ottico a strati ed i coefficienti di riflessione e trasmissione (r e t). Ora, occorre sapere che ad incidenza normale (ovvero se il raggio di luce è perpendicolare al campione) in un modello a tre strati valgono le seguenti relazioni: Ad incidenza normale non è possibile distinguere fra le polarizzazioni p ed s, quindi queste equazioni valgono per entrambe. n1: indice di rifrazione dell'aria.
n2: indice di rifrazione del MAPbI3.
: parte reale.
$$ \begin{array}{r c l} R &=& |r|^2 \\ T &=& \Re\left(\frac{n_2}{n_1}\right)|t|^2 \\ \end{array}$$ Con queste equazioni in mente, possiamo quindi esprimere R e T analiticamente in funzione dell'indice di rifrazione ignoto, ovvero quello del MAPbI3. Dopodiché, se paragoniamo queste espressioni analitiche con le misurazioni di R e T effettuate, si può ottenere l'indice di rifrazione semplicemente risolvendo un'equazione fra le due quantità. Il modello permette inoltre di calcolare lo spessore dello strato del MAPbI3, che risulta essere un parametro ottico incluso nei calcoli.

Per motivi di spazio, non scendo nel dettaglio su come effettuare tutti i calcoli, che per noi richiesero lunghissime espressioni di codice che impegnarono parecchio i nostri processori. Tuttavia, per chiarire meglio le fasi principali del processo, ho disegnato qui sotto un diagramma di flusso. Seguendo le frecce, dall'indice di rifrazione (che è un'incognita) si arriva ad un'espressione analitica per R e T. Questa viene poi paragonata alle misurazioni di riflettanza e trasmittanza effettuate, ottenendo dunque una soluzione numerica per l'indice di rifrazione e lo spessore dello strato di MAPbI3 (che è un parametro nelle espressioni di R e T).

Schema del processo matematico che permette di calcolare l'indice di rifrazione e lo spessore di un campione attraverso misurazioni di riflettanza e trasmittanza.

Risultati

I risultati che ottenemmo dall'analisi delle misurazioni di riflettanza e trasmittanza non furono molto soddisfacenti, anche se confermarono a grandi linee i dati dell'ellissometria. Nei grafici qui sotto ho riportato un esempio dell'indice di rifrazione calcolato con il metodo descritto nella sezione precedente. Va detto innanzitutto che la curva di riferimento non è necessariamente la soluzione "corretta", in quanto viene dalla [1] e quindi da un altro processo in un altro laboratorio. Tutto sommato, il risultato calcolato segue l'andamento previsto, ma non in modo molto soddisfacente.

Gli spessori calcolati con questo modello risultarono più vicini ai dati ottenuti con l'ellissometria, 100-300 nm di MAPbI3 con 10-20 nm di ruvidità. Anche in questo caso, tuttavia, la corrispondenza si rivelò un po' approssimativa.

Un esempio dei risultati ottenuti calcolando gli indici di rifrazione attraverso misurazioni di riflettanza e trasmittanza. Il riferimento viene dalla [1].

Insomma, la morale è che l'analisi dei dati ottenuti dalla riflettanza e la trasmittanza non andò come ci saremmo aspettati, ma esiste una spiegazione a tutto ciò. Innanzitutto, penso che l'ellissometria sia un metodo molto più preciso, proprio perché sia i macchinari che i programmi utilizzati hanno un livello più avanzato di tecnologia. Il motivo principale, però, è che, giunti alla fine dell'attività di ricerca, ci accorgemmo di aver calibrato diversamente gli strumenti per misurare la riflettanza e la trasmittanza. Se mettiamo a confronto riflettanza, trasmittanza ed assorbanza, come riportato nel grafico qui sotto, possiamo infatti capire meglio la causa di tali errori.

Le misurazioni di trasmittanza e riflettanza davano un'assorbanza negativa dopo i 900 nm, ad indicare un probabile errore di calibrazione.

Da un punto di vista fisico, ogni fotone presente in un fascio di luce può essere riflesso, trasmesso, o assorbito da un determinato materiale. Non essendoci altre opzioni, possiamo facilmente derivare la relazione R + T + A = 1. A è l'assorbanza, ovvero l'intensità di luce assorbita da un materiale. Nel grafico di sopra, i valori di R e T sono misurati, ma A è calcolato, motivo per cui la somma delle tre quantità è sempre esattamente uguale ad 1. Dopo i 900 nm circa, però, l'assorbanza diventa negativa, che in questo caso è un fenomeno impossibile, in quanto comporterebbe l'emissione di luce da parte del campione. La conclusione è quindi che vi è un errore di calibrazione fra le misurazioni di riflettanza e trasmittanza, cosa che scoprimmo troppo tardi per effettuare di nuovo le misurazioni.

Banda Proibita (Tauc/Cody)

L'ultima quantità che avremmo dovuto calcolare con le misurazioni di riflettanza e trasmittanza era la banda proibita. Uso il condizionale perché questo calcolo va effettuato a partire dall'indice di rifrazione e, visti i cattivi risultati ottenuti con la riflettanza e la trasmittanza, decidemmo di usare i dati dell'ellissometria per vedere se fosse possibile trovare qualche riscontro. Partendo da n e κ, si possono quindi usare i metodi di Tauc e Cody, che forniscono una maniera abbastanza semplice per calcolare la banda proibita dei semiconduttori amorfi. Su questo argomento non sono molto preparato e quindi non andrò molto nel dettaglio: mi limiterò a riportare ciò che mi fu insegnato oralmente dagli altri membri del laboratorio.

Il tipo di transizione (diretta o indiretta) in un semiconduttore stabilisce, in poche parole, se un elettrone può passare alla banda di conduzione semplicemente assorbendo un fotone, oppure se è necessaria la generazione di un fonone (una vibrazione della struttura atomica). Innanzitutto, occorre calcolare il coefficiente di assorbimento, ovvero \( \alpha = \frac{4\pi\kappa}{\lambda} \), ed esprimerlo in funzione dell'energia (ε) dell'onda invece della sua lunghezza (λ): \( \varepsilon = \frac{hc}{\lambda} \). Dopodiché, si fa un grafico di \( (\alpha\varepsilon)^\frac{1}{m} \) oppure \( \left(\frac{\alpha}{\varepsilon}\right)^\frac{1}{m} \) (metodi Tauc e Cody rispettivamente) in funzione di ε, dove m è uguale a 2 per i materiali a transizione indiretta ed ½ per quelli a transizione diretta. In questo grafico, si cerca poi una regione lineare "evidente", il cui coefficiente angolare è uguale alla banda proibita.

Questi metodi funzionano bene per i semiconduttori più comuni (silicio, GaAs, ecc...). Nel caso del MAPbI3, però, la regione lineare non è molto evidente e non è necessariamente una sola. I risultati, quindi, furono un po' "forzati", nel senso che li adattammo consapevolmente ai valori che ci aspettavamo di ottenere. Considerando il MAPbI3 un materiale a transizione diretta (che produceva risultati migliori), riuscimmo quindi a calcolare dei valori della banda proibita compresi fra 1.5 ed 1.6 eV, che coincidevano quasi esattamente con quanto ricavato dall'ellissometria e dal confronto con la [1].

Questo calcolo non fu effettuato con una procedura molto rigorosa, né eravamo sicuri che il MAPbI3 fosse un materiale a transizione diretta. I risultati, perciò, non ebbero un valore di conferma molto credibile da un punto di vista scientifico, nonostante coincidessero bene con i valori dell'ellissometria e della [1]. Tuttavia, fu comunque positivo ed istruttivo utilizzare i metodi di Tauc e Cody per "controllare", seppure in modo approssimativo, i dati ottenuti in altri modi.

SEM ed AFM

Il microscopio elettronico a scansione (SEM) è un dispositivo che bombarda il campione con un fascio di elettroni, detti "primari", per poi captare attraverso dei sensori gli elettroni riflessi (o "secondari") e ricostruire un'immagine a livelli d'ingrandimento molto elevati. Noi usammo questo strumento per confermare i nostri calcoli dello spessore dello strato di MAPbI3 dei campioni. Come mostrato nell'immagine qui sotto, i valori che misurammo variavano fra i 300 e i 450 nm, ovvero leggermente di più di quanto avevamo stimato.

Immagine SEM di uno strato di MAPbI3, dove è visibile il valore dello spessore fra i 300 e i 450 nm, leggermente più alto di quanto calcolato.

Il microscopio a forza atomica viene invece utilizzato per creare un'immagine "topografica" del campione, ovvero la forma e la ruvidità della sua superficie. Lo strumento dispone di un ago di metallo microscopico, che tocca la superficie del campione in vari punti ad intervalli regolari. I punti di contatto vengono registrati attraverso degli impulsi elettrici, che permettono poi ad un computer associato di ricostruire la superficie del campione. Come si può vedere dall'immagine qui sotto, la ruvidità misurata ha una media quadratica intorno ai 10 nm, che è quanto avevamo previsto nei calcoli.

Ricostruzione ad AFM dello strato di ruvidità del MAPbI3, la cui media quadratica dello spessore risultò essere poco più di 10 nm, come previsto.

Conclusione

Guardando complessivamente tutta la nostra attività di ricerca, devo dire che il successo più grande fu l'ellissometria. Non solo riuscimmo a seguire una procedura strutturata e completa, ma ottenemmo anche dei risultati consistenti, che avevano riscontro in altre pubblicazioni sullo stesso tema. L'unica pecca, in questo caso, fu il fatto di non essere in grado di confermare l'analisi del software CompleteEASE con dei programmi scritti da noi in Mathematica o Matlab: nonostante i nostri sforzi, infatti, il codice da noi scritto richiedeva tempi di esecuzione troppo lunghi.

Tutto ciò che seguì alle misurazioni di ellissometria fu, di fatto, una ricerca di conferme e riscontri dei valori già trovati. Purtroppo, in questo non avemmo moltissimo successo, o perché i risultati non combaciavano, o perché erano un po' forzati ed ottenuti attraverso metodi poco rigorosi. L'errore di calibrazione, inoltre, rese i dati poco attendibili e ci impedì di trovare una soluzione corretta alle nostre equazioni. Ciononostante, io personalmente non sottovaluto il fattore di apprendimento reso possibile da tutta l'attività di ricerca che svolgemmo. Lo scopo della borsa EPSCoR, in fondo, per noi ricercatori non ancora laureati (nel 2016), non era di fare qualche scoperta clamorosa, ma di imparare il metodo scientifico della ricerca e di ampliare le nostre conoscenze in materia di perovskiti e di ottica.

Un ultimo commento va al valore delle perovskiti come materiali con applicazioni fotovoltaiche. Confesso che cominciai l'attività di ricerca convinto di lavorare con le celle solari del futuro e la terminai con moltissimi dubbi in merito. Le perovskiti sono materiali delicati, che si degradano molto velocemente con l'umidità e perdono di efficienza se esposte alla luce del sole troppo a lungo. L'isteresi che le caratterizza, così come, soprattutto, la forte dipendenza delle loro prestazioni dalle condizioni ambientali, ne rende il comportamento poco prevedibile, tanto che spesso, ripetendo più volte una misurazione, ottenevamo risultati diversi. A tutto ciò, la comunità scientifica sta trovando poco a poco dei rimedi, ma per ora sembra che tutte le energie dei ricercatori siano concentrate sulla massimizzazione dell'efficienza delle celle, a scapito di dimensioni e longevità. Resta inoltre la questione della commercializzazione delle celle, ovvero: una volta risolti tutti i problemi in laboratorio, come verrà affrontata la produzione a livello industriale?

Tutto sommato, non si può non riconoscere l'enorme potenziale delle perovskiti per le applicazioni fotovoltaiche: per citare qualche idea che gira nella comunità scientifica, potrebbero essere usate per estrarre energia dalle finestre di vetro, oppure per creare delle pellicole di celle solari flessibili, e così via. Credo però che la ricerca, in questo campo, abbia ancora molta strada da fare e, soprattutto, che debba evitare di incagliarsi sulle cifre decimali dell'efficienza, quando la degradazione e la commercializzazione delle celle presentano ostacoli di importanza molto maggiore. Ovviamente, io non ho molta autorità in capitolo, in quanto ho solo visto una parte infinitesimale di ciò che è l'attuale stato della ricerca. Dalle discussioni in laboratorio, però, ho notato una leggera delusione intorno alle perovskiti: nonostante il loro potenziale, infatti, queste rischiano di diventare specchietti per le allodole, se la ricerca non si concentra sui loro problemi principali.